Prospettive applicative della legge sui disturbi specifici dell'apprendimento
Roma, Piazza Ateneo Salesiano 1, Aula Paolo VI.
Fondazione Telecom Italia
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…”L’essere umano può sopravvivere con un numero sorprendente di deficienze e riuscire a essere efficiente, se possiede abbastanza punti di forza e abilità per superarle. Così un individuo molto intelligente, equilibrato, motivato, soddisfatto e realizzato giungerà spesso all’apice nel suo campo, pur avendo un forte deficit di percezione”.
“ I problemi emotivi di un bambino dislessico iniziano nelle prime classi, a seguito delle frustrazioni causate dalla propria incapacità di imparare a leggere come i suoi compagni. Questo insuccesso, più di ogni altra cosa, può inculcare in lui l’idea che, nonostante gli sforzi più ostinati, non imparerà mai a leggere, allora piuttosto che fallire di nuovo, decide di non provarci più.”
“ Il nostro compito attuale deve essere quello di occuparci dell’individuazione, prevenzione e rieducazione di soggetti con problemi di apprendimento, di modo che, chi presenta difficoltà in ambito scolastico – e ha perciò un’ immagine di sé negativa – non acquisisca anche problemi comportamentali derivanti da una mancata individuazione di un deficit di percezione”.
“Un commento spesso sentito a proposito di un programma per la rieducazione dei problemi di apprendimento della letto-scrittura / dislessia è: Ma questo è solo un buon insegnamento! Potremmo utilizzare gli stessi principi e metodi con tutti gli alunni della scuola elementare!”
“Una volta che le difficoltà di apprendimento sono state identificate, genitori e insegnanti possono fare molto per una efficace rieducazione”.
“La mancanza di una diagnosi definitiva però non ci esonera dalla responsabilità di insegnare ai bambini in difficoltà”. Pag.33
“è sempre bene usare l’espressione di approvazione dopo ogni frase letta o scritta ed anche dopo ogni parola scritta. Lo studente si gratifica anche quando ha corretto un errore. Dei suoni di approvazione emessi con entusiasmo, “eh!, bene!, mhmm!”, sono sempre apprezzati dall’alunno e sono un segno di riconoscimento per il lavoro svolto.” Pag. 51
“ogni errore dovrebbe essere seguito da un numero sufficiente di esempi corretti in modo da cancellare nella memoria il ricordo della risposta errata. Si devono avere molte risposte giuste per cancellare una risposta sbagliata”. Pag. 55.
“il bambino dislessico deve riscoprire ed applicare tante volte una regola prima di impadronirsene definitivamente. Inizialmente è necessario mostrargli e fargli leggere tante parole che contengono l’esempio di queste regole; poi deve scoprire da sé la logica di queste regole” . Pag.78
Della stessa collana:
L’abilità del montaggio risulta evidente. Si aggira la stigmata: è nell’azione, nel gioco, nella ricerca che emerge la particolarità che distingue ogni bambino dall’altro, la miopia come la dislessia, la bulimia come la fragilità emotiva. Si ricorre anche all’espediente di mettere un bambino nei panni dell’altro, per fare sentire reciprocamente come si sta al posto che non è il proprio posto. Per questo si fa scivolare la realtà della gita in campagna nella magia della fiaba.
Torna utile quindi l’albero magico, laboratorio dei prodigi del mago delle formiche giganti. Che irretisce i bambini nella sua tana, ma poi, siccome è un po’ pasticcione, confonde la formula che dovrebbe asservirli.
Il risultato è che Pietro, il miope, ci vede benissimo ma da basso che era diventa altissimo, soppiantando Tommaso nel record; Giovanni, da quella roccia che è, diventa piagnucoloso, come Pietro, ma in compenso s’accorge di leggere bene le scritte incise nelle pareti della grotta del mago, proprio come farebbe Alessia e lui non sa fare; mentre la grassa Alessia, che ora sembra una mannequin, fa fatica a distinguere una parola dall’altra.
A riprova poi di quello che dice il professor Stella nel suo libro, è proprio Giovanni, il bambino dislessico, a risolvere la situazione e a rimettere ogni cosa al suo posto.
Il racconto non rinuncia agli ingredienti necessari del genere, che fa ridere e sorridere, completando l’obiettivo che si è dato, persino con un eccessivo ottimismo.
In appendice al volume, due importanti capitoli: “Che cosa succede quando non si riesce a leggere?”, un test intelligente e indovinato di autodiagnosi, e “Che cos’è la dislessia?”: in dialogo maieutico, una maestra e i suoi scolari (gli stessi personaggi della storia, indagano, s’interrogano, concludono)".
da:http://www.alicenelpaesedeibambini.it/alice/rubriche/16_lettera_PCM.htm
GLI AFFETTI NELL’ APPRENDIMENTO
" L’apprendimento è impregnato di affetti, di valori e di significati. E’ molto difficile, e per quanto è impossibile, apprendere ciò che non si ama, ciò che non ha valore, ciò che non ha senso.
La motivazione germoglia solo quando è seminata nel terreno degli affetti positivi.
La motivazione muore quando è intrisa di emozioni negative.
Sono gli affetti che danno luce, energia, valore, significato, pregnanza a tutto ciò che si studia.
La svalutazione distrugge l’esperienza emotiva dello studente.
Una buona relazione educativa è sempre impregnata di empatia, di tatto, di attenzione, di premura.
La cultura non è fatta solo di conoscenze, ma anche di equilibrio psicologico, di armonia tra mente e cuore.
“Sono contento che tu sia riuscito in questo lavoro. Ricordo da dove sei partito. Ho notato quante difficoltà hai superato e come hai accolto quel suggerimento che ti avevo dato, che all’inizio ti sembrava sconvolgente e che poi hai utilizzato in maniera positiva. Sono contento per te, perché in questo modo ai superato una paura, hai colmato una lacuna su questo tema, sei stato brillante in questo punto. Osserva come è bella questa frase, come l’hai espressa bene! Osserva come hai analizzato accuratamente questi aspetti del problema!”
La valorizzazione dell’esperienza di apprendimento è particolarmente fruttuosa con quegli studenti che hanno una bassa stima di se stessi. Generalmente essi non si mettono alla prova, perché sono convinti di accumulare solo insuccessi.
Si impara di più quando si è interessati e quando si ama ciò che si sta studiando. Quando invece si è costretti ad apprendere senza partecipazione, emergono solo emozioni negative, come noia, insoddisfazione, pigrizia, che impediscono l’attenzione, la rielaborazione e conducono a scarsi risultati."
http://mariopolito.it/
Il termine autorealizzazione appare astratto solo a quegli insegnanti che hanno smarrito la loro funzione educativa. E’ invece un concetto “luminoso”, una guida sicura, un appello coinvolgente, un solido sostegno pedagogico. Suggerisce di essere gentile con gli studenti, di essere presente a loro fianco, di desiderare ardentemente la loro crescita, di amare apertamente la fioritura delle loro potenzialità.”
LA COMPETENZA DEGLI ULTIMI DELLA CLASSE
“Come riuscire a motivare gli ultimi della classe?
Per riuscire a motivare gli ultimi della classe è necessario ascoltarli ed aiutarli ad esprimere la sofferenza, la difficoltà e la fatica che incontrano nello studio. Solo così l’insegnante può capire le ragioni profonde della loro mancanza di motivazione e cominciare a costruire un dialogo, uno scenario in cui possono esprimersi con le loro parole.
E’ possibile dare spazio a tutti, solo se la scuola viene intesa in modo differente: come luogo della condivisione del sapere; meglio, come territorio della costruzione del sapere; come opportunità in cui si può disporre di tempo sufficiente per osservare il funzionamento della propria intelligenza, per prendersi cura del proprio processo di apprendimento, per equipaggiare la propria mente di strategie cognitive efficaci, per condividere il proprio sapere con i compagni.
Purtroppo a scuola si fa tutto in fretta. Gli insegnanti sono ossessionati dall’urgenza di completare il loro piano di lavoro e incalzano studenti a sbrigarsi. Gli ispettori vigilano sullo svolgimento del programma e controllano che non si perda tempo.
In tale contesto è impossibile riflettere, meditare, formulare pensieri e trovare le parole per esprimere i propri vissuti interiori.
Qualche insegnante si giustifica dicendo:
“Ma io, in classe, cerco sempre di porre domande e lascio sempre agli studenti la possibilità di rispondere”.
Immaginiamo che l’insegnante chieda:
“Chi vuole rispondere a questa domanda?”
Come si sente l’ultimo della classe? Sente che è una domanda riservata a lui?
Assolutamente no. Intende questa domanda come riservata ai più bravi, a quelli più aggressivi, a quelli che hanno più grinta, a quelli che vogliono farsi notare. L’attuale didattica si concentra su chi trionfa, sui bravi e scarta i meno bravi, gli ultimi. E’ coerente con la società attuale, basata sui vincenti, sui pochi che riescono a sfondare.
Come può intervenire nella discussione uno che si sente ultimo della classe? Come può formulare un pensiero intelligente se non gli sarà mai chiesto di esprimere niente di intelligente?
Sentendosi continuamente incompetenti, gli ultimi della classe accettano questo ruolo e sopravvivono come meglio possono.
Gli insegnanti che si prendono cura della motivazione dei propri studenti sentono una spinta a rivedere la propria visione pedagogica e didattica e cercano di impostarla sulla sensazione di competenza di tutti, anche degli ultimi della classe. Attivando la loro autostima è possibile incoraggiarli ed entusiasmarli verso la conoscenza e la cultura.
SVOLGIMENTO DEL PROGRAMMA ED AUTOREALIZZAZIONE
…”Gli insegnanti che sono troppo focalizzati sullo svolgimento del programma non si preoccupano dell’autonomia dello studente e del suo processo di apprendimento; anzi lo costringono, adesso “con le buone”, tempo fa “con le cattive”, ad adeguarsi al ritmo incalzante dettato dal programma ufficiale.”
“La scuola è relazione, è incontro di persone: non è un supermercato del sapere. Gli insegnanti non sono venditori. Gli studenti non sono clienti e consumatori. La conoscenza non è introiezione: è un conoscere insieme, è un dialogare, è uno scontrarsi, è un rivedere le proprie opinioni, è scoprire talenti da fruttificare. La scuola è partecipazione.”